Il web e la psicologia

Il web e la psicologia

Il web ha portato numerosi vantaggi nelle vite delle persone a livello individuale. Oggi, molte operazioni quotidiane risultano più facili e veloci. Basti pensare al mercato dell’informazione: sul web possiamo trovare di tutto.

Basta con le giornate passate in biblioteca a sfogliare centinaia di libri. Addio appuntamento della domenica mattina all’edicola per comprare il tuo giornale più fidato. Per accedere a una notizia non devi più aspettare l’appuntamento con il TG in televisione. Oggi, con il web, tutto sembra immediato, facile e sicuro. 

il web

Ma, così tanta informazione, ci avrà resi veramente più istruiti? Non sembrerebbe: le persone sono sempre più confuse. In rete, circolano opinioni di ogni tipo, notizie false, discorsi d’odio.

Le persone non riflettono, non elaborano e non sono critiche. Proprio dovuto a questa velocità e frammentarietà che caratterizza il web. 

Tutto questo accade a livello individuale. Ma a livello sociale, cosa sta succedendo con l’avvento del web?

Il mezzo digitale è strettamente legato ad uno stato di eccitazione. In passato, se si voleva scrivere a qualcuno, bisognava procurarsi carta e francobollo. Scrivere una lettera e poi spedirla. Si tratta di un lungo processo che scaricava l’eccitazione. Oggi, invece, basta un clic per indignarsi e scatenare on line qualsiasi cosa ci passi per la testa …. Inoltre, il web ci permette di essere chi vogliamo… nessuno riconosce la nostra identità. E l’individuo non riconosce l’identità di nessun altro. Il web, mescolando pubblico e privato, abbatte ogni distanza e, conseguentemente, il rispetto. Il rispetto che sussiste solo quando un soggetto è legato a un nome, a un’identità. Riprendendo le parole di Byung-Chul Han, filosofo tedesco di origini Sud Coreana, “abbiamo a che fare con uno sciame digitale, un insieme di individui integrati nella rete ma allo stesso tempo isolati”. 

La libertà di espressione e il web

La libertà di espressione e di essere informati, ossia la base di ogni democrazia, è quello che ci consente di poter esprimere qualsiasi cosa ci passi per la testa. Ricordiamo quel famoso art. 21 della Costituzione Italiana, il quale recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…”

Negli ultimi anni il modo di veicolare le notizie è cambiato, evolvendosi con lo sviluppo tecnologico. Risulta chiaro che, oggi, il mezzo privilegiato sia il Web. 

Ogni nuovo mezzo di comunicazione rappresenta un enorme passo avanti e, allo stesso tempo, una sfida per la società. E il web ha sicuramente rappresentato la più grande rivoluzione tecnologica, sociale e culturale degli ultimi anni. Infatti, possiamo essere informati costantemente e in tempo reale su quanto accade nel mondo. Internet è in grado di annullare le distanze. Purtroppo, come tutti gli strumenti tecnologici, internet nel corso degli anni ha mostrato anche un lato oscuro. E nulla si può fare per evadere dal web quanto ti ha risucchiato dentro.

Con il suo saggio “Populismo digitale. Come internet sta uccidendo la democrazia” Mauro Barberis mette in crisi il concetto di libertà di opinione quale cane da guardia della democrazia. Il professore di Diritto all’Università di Trieste dimostra scientificamente come i più recenti exploit del Populismo, come il referendum sulla Brexit e le elezioni negli Stati Uniti, siano stati pesantemente condizionati da due fenomeni che tratteremo in questa sezione: le fake news e lhate speech.

Non vogliamo negare il fatto che il web abbia ampliato tantissimo il nostro diritto di libertà d’opinione.

Vogliamo mettere in luce il suo lato oscuro. La libertà di espressione, infatti,  può diventare fonte inesauribile di notizie non corrette per gli utenti non avveduti. Le notizie false (fake news, bufale) ci sono sempre state, ma non sono mai circolate alla velocità di oggi. Ed è questo il grande potere del world wild web: l’immediatezza. Il rischio è che, notizie appositamente distorte, vengano strumentalizzate per influenzare l’opinione pubblica.

Internet ci sembra un mondo prettamente virtuale. Ma questi fenomeni che si originano in rete impattano sulla vita reale. Ed è di questo che dobbiamo preoccuparci. Le persone devono essere istruite.

Lavoriamo per vedere il web come uno strumento di emancipazione. Perché crediamo che una maggiore circolazione delle idee possa ridurre l’ignoranza e la superstizione. Vogliamo un’informazione corretta affinché le persone, con la libertà di parola, possano essere più istruite e non rimanere intrappolate in una rete di ideologie deliranti e dannose. Vogliamo essere le fondatrici del diritto-dovere di una corretta informazione!

libertà di espressione e il web

Il web: diritto di espressione e fake news 

Il diritto di espressione tutela il fenomeno delle fake news. Vale a dire, l’ordinamento tutela la diffusione di notizie false o bufale. Questo fenomeno esiste da sempre con la differenza che, oggi, si diffondono ad una velocità esorbitante. Dal punto di vista della psicologia sul web, questo comporta pericoli concreti, in quanto porta le persone a credere a cose che non sono reali. L’attuale epidemia di Covid-19 è l’esempio principe di conseguenze reali di cose che accadono sul web.

Le numerosissime notizie distorte riguardo il virus ha portato panico e confusione collettiva nell’intera popolazione, con un effetto davvero pericoloso e rilevante per la vita delle persone. Basti pensare ai negazionisti, i quali non credono nell’esistenza del virus. O ancora a coloro che non voglio vaccinarsi, i cosiddetti no vax.

Tutte queste ideologie, prive di alcun fondamento scientifico, rischiano di comportare effetti disastrosi. Le persone che ci crederanno, saranno portate a non addottorare le misure di prevenzione e contenimento della malattia. 

Le fake news non sono opinioni!

Il vero problema delle fake news sta nel ritenerle come mere “opinioni” e, quindi, degne di tutela costituzionale. D’altronde, ogni progresso scientifico è stato ottenuto grazie alla messa in discussione di quelli che erano dogmi e verità assolute di un’epoca. Occorre, quindi, bilanciare la necessità di non contaminare internet con notizie inesatte e infondate con la libertà di esprimere opinioni legittime.

In altre parole, vogliamo combattere notizie palesemente e intenzionalmente false. E difendere opinioni espressione di punti di vista su fatti in corso di svolgimento, studio o accertamento.

Dire, per esempio, che è discutibile il fatto che i vaccini siano pronti in così poco tempo è un’opinione. E, in quanto tale, è meritevole di protezione. Dire che, in realtà, il governo con il vaccino vuole solo fare soldi e che ci ucciderà tutti è una bufala. E, in quanto tale, dovrebbe essere censurata. Sì! Censurata perché i soggetti più sensibili a questo tipo di messaggi potrebbero crederci e, di conseguenza, decidere di non vaccinarsi. Ma non solo, rischiano di influenzare altre persone a non farlo, creando una situazione dove molti soggetti mettono a rischio la propria e la vita altrui.

Psicologia sociale ed il web

Così come accade nella vita reale, sul web tendiamo a organizzarci in community. Questo perché vogliamo potenziare la nostra esperienza sociale attraverso l’interazione. Vogliamo essere inclusi, vogliamo accettazione. Con le nostre community, infatti, condividiamo cultura, linguaggio, modi espressivi ecc. Le community tradizionali erano caratterizzate dalla collocazione in uno spazio fisico. Oggi col web, queste barriere geografiche vengono superate. C’è un nuovo spazio sociale: cyberspazio 

il web e relazioni sociali

Con i social è possibile la narrazione

  • descrittiva (cosa sto facendo ora)
  • che descrive anche l’identità sociale (cosa ne penso)

Questi elementi sono fondamentali per noi in quanto essere umani. Ci fa sentire parte del gruppo. Ci fa sentire apprezzati e importanti, in quanto abbiamo un’opinione che altri condividono.

Risulta chiaro, quindi, che all’interno di una community circolano idee che molte volte condividiamo solo per essere accettati e stimati dal gruppo. Ma non solo. Molte volte per pigrizia, in quanto è più semplice fidarci di chi è simile a noi. Al contrario, diffidiamo da chi è “diverso”, ossia che non fa parte del nostro gruppo. E questo è normale, fa parte della nostra natura umana. Il gruppo è sempre stato una garanzia per gli individui. Ed è proprio lo stare in gruppo che ci ha permesso di sopravvivere come specie. 

Per certi versi, il nostro cervello è ancora un cervello arcaico. La sua parte più antica è identica a quello dell’uomo di Neanderthal, e ancora adesso non resistiamo a certi impulsi che sarebbero stati utili migliaia di anni fa. Oggi non dobbiamo sopravvivere a niente. Quello che ci dicono gli altri spesso non ci è utile, anzi è dannoso e pericoloso perché mettono in atto comportamenti non adattivi. Ricordatevi sempre che l’informazione va analizzata criticamente prima di prenderle per vere. Anche se queste arrivano da persone con le quali condividete valori, interessi e pensieri.

Il web e la categorizzazione sociale 

Ora parleremo nello specifico di come interagiamo con le nostre comunità, siano esse offline o online. E’ ovvio che interagiamo parlando (o scrivendo) e, quindi, tramite il linguaggio. 

Quando si tratta della realtà sociale, non possiamo fare a meno di categorizzare. In realtà, lo facciamo sempre, la categorizzazione fa parte di come funzioniamo in quanto essere umani. Sono infatti dei processi cognitivi di semplificazione della realtà. Ora, per rendere il tutto più facile da capire, vi faccio un esempio. Guardatevi intorno. Io, per esempio, adesso sono in aereo. Vicino a me vedo una persona. Ok, fin qui ci siamo. Questo vuol dire che ho assegnato all’insieme di braccia, gambe, testa, capelli, ecc all’etichetta “persona”. Ecco, questo vuol dire categorizzare. In mano ho un insieme di pagine racchiuse da una copertina che etichetto come “libro”.

Se qualcosa sui costrutti sociali non è chiaro, vi consigliamo di approfondire qui.

Dunque, categorizzare è qualcosa che facciamo in automatico e per tutte le cose del mondo. Di conseguenza, anche per quanto riguarda le persone. 

Nelle relazioni interpersonali attiviamo categorie sociali automaticamente, come 

  • GENERE
  • ETA’
  • COLORE DELLA PELLE
  • PROFESSIONE. 

Ad esempio, se ci conoscessimo di persona e vi chiedessero successivamente chi sono, voi probabilmente rispondereste: è una ragazza (il mio genere), giovane studentessa (la mia “professione”) laureata in psicologia. Una ragazza mora con gli occhiali, probabilmente con origini straniere dato il mio colore della pelle. Provate, magari non saranno proprio queste le vostre parole, ma più o meno ci siamo. 

Il web con il suo linguaggio e comunicazione politica

Tutto ciò è normale, il problema si presenta quando vengono utilizzate etichette da parte dei media nei confronti di determinate categorie sociali. Queste etichette molto spesso portano caratteristiche che fanno a discriminare e sminuire certe persone. Nella sezione successiva vi presenterò un esempio a me molto caro: la comunicazione politica nei confronti dei migranti. 

Vedremo nel dettaglio come le parole utilizzate per riferirsi ai migranti influenzano come questi vengono percepiti. 

Prima di entrare nel dettaglio, è utile fare un esempio. Riporto qui 3 casi di comunicazione sul web che si riferiscono allo stesso evento: il fatto che nel 2021 sono sbarcati in Italia circa 50 mila migranti. L’unica differenza corrisponde al termine utilizzato per denotare l’oggetto protagonista, ossia le persone nel mondo che hanno la proprietà di migrare in Italia nel 2021. Formalmente, quindi hanno lo stesso significato letterale.

  1. L’Agenzia Giornalistica Italiana (AGI): “Nel 2021 sono sbarcati in Italia 48 mila migranti”
  2. La Stampa: “Sbarchi raddoppiati, da gennaio in Italia 50mila immigrati”
  3. Un anno di sbarchi senza fine: “oltre 50mila ingressi clandestini” 

Analizziamo caso per caso 

  1. L’Agenzia Giornalistica Italiana (AGI), utilizza il termine “migranti”, il quale ha una connotazione neutra, perché si riferisce solo al fatto che la persona ha lasciato il suo paese di origine per trasferirsi in un altro.
  2. La Stampa utilizza il termine “immigrati”, il quale rafforza il fatto che la persona migrante è arrivato nel paese di chi scrive, veicolando un atteggiamento più negativo nei confronti dell’interessato.
  3. Il Giornale utilizza, infine, “clandestini”, il quale porta con sé significati aggiuntivi quali irregolarità, mancata autorizzazione e abusività. Ne deriva che, tra tutti i termini, sarà quello che veicolerà l’atteggiamento più negativo, nonostante la denotazione dell’evento sia la stessa.

Quindi, la scelta di determinate parole in rete ha un effetto reale sulle persone. Anche se il messaggio veicolato è lo stesso, ci sono elementi aggiuntivi che influenzano le opinioni delle persone.

Il web usa il linguaggio come arma politica

Come vi ho anticipato, quindi, il linguaggio in rete è molto rilevante in ambito politico. In base al tipo di consenso che si vuole ottenere, l’utilizzo di una parola piuttosto che un’altra risulta estremamente utile nel persuadere e convincere le persone ad appoggiare e dare consenso a una certa ideologia. 

In un mondo dove un partito politico ha in media pochi minuti per convincerti a votarlo. Un mondo dove, potenzialmente, tutti i partiti possono esprimersi sul web. Dove siamo bombardati di informazioni e opinioni. Dove non abbiamo tempo, dove siamo sempre in ritardo in una lotta continua contro l’orologio. Ecco, in questo mondo, la conquista della nostra attenzione diventa oro. E’ il bene più prezioso per chiunque voglia indurre su di noi una qualche forma di persuasione. Sia essa economica, ideologica e politica. 

Republican nominee Donald Trump speaks at “Joni’s Roast and Ride” in Des Moines, Iowa, U.S., August 27, 2016. REUTERS/Carlo Allegri

Ne consegue che, sarà necessario adottare le strategie di persuasioni il più sofisticate possibili. Ecco perché si usano gli slogan e le metafore.

Le metafore e il web: perché funzionano

La metafora è una figura retorica in cui vengono accostati/paragonati due oggetti diversi fra loro. Il risultato di questo accostamento, è un trasferimento delle proprietà dell’uno all’altro. Sono comunemente usate per riferirsi a un concetto specifico, in modo da aiutare le persone ad apprenderlo e comprenderlo più facilmente e rapidamente (Moscovici, 2001).  

Hanno una forte influenza, in quanto plasmano la maniera con cui le persone pensano al riguardo di una determinata questione (Lakoff & Johnson, 1980; Shelley, 2001; Thibodeau & Boroditsky, 2011).

Con l’affermarsi dei nuovi mezzi di comunicazione, caratterizzati dall’istantaneità e dalle numerosissime informazioni che trasmettono, l’utilizzo delle metafore si intensifica esponenzialmente, vista la necessità di trasmettere concetti complessi in tempi notevolmente ristretti. 

La questione risulta estremamente rilevante in ambiente politico, i cui messaggi hanno solo pochi secondi a disposizione per essere trasmessi. Ne deriva che, spesso, vengono utilizzati “slogan” e metafore che riescano a trasmettere un’idea il più velocemente possibile, senza alcuna evidenza o legittimazione reale. 

Lo studio di Shantal R. Marshall e Janessa Shapiro

La psicologa sociale Shantal R. Marshall, americana figlia di immigrati messicane, dimostra come negli Stati Uniti d’America nel 2018 i media rappresentano i clandestini sudamericani con metafore che attivano immagini di vermi e animali (per esempio, roditori). Con una seconda indagine mostra che, quando queste metafore sono presenti in articoli sugli immigrati, più i partecipanti si identificavano come “americani”, maggiore era il disgusto che provavano leggendo l’articolo. La ricerca si conclude dimostrando come, dopo aver letto questi articoli, i partecipanti che più si identificavano come americani erano poi quelli che più supportavano stringenti politiche anti-immigrazione. 

Gli studi di R. Marshall e Janessa R. Shapiro dimostrano, inoltre, che l’aumento degli atteggiamenti anti-immigrazione dipende anche da quanto è importante l’essere americano per il partecipante, in quanto le persone con un maggiore sentimento di identità nazionale si sentono “proprietari” di quella casa che i vermin possono distruggere.

Landau, Sullivan and Greenberg (2009) scoprono che partecipanti esposti a informazioni su un batterio “dannoso” ed in seguito a metafore che presentano gli Stati Uniti come un “corpo”, queste portano ad un aumento negli atteggiamenti anti-immagrazione. Anche se non vi era alcun riferimento alla questione dell’immigrazione. La reazione dei partecipanti davanti a un altro problema sociale, come il salario minimo, non cambiava, dimostrando che le metafore non li facevano sentire semplicemente più conservatori.

Primo studio: metodo

Vengono selezionati 40 partecipanti che si identificano come americani, 33 bianchi, 3 orientali e 2 mediorientali, 25 uomini e 15 donne con una età media di 38.5 anni.

Procedura, materiali e misure: 

Ai partecipanti veniva richiesto di leggere attentamente un paragrafo dove erano presenti metafore animalizzanti, di invasione che comunemente vengono usate dai media per rappresentare gli immigrati, ma senza alcun referente. Tutto ciò avveniva, per assegnazione casuale, in due condizioni sperimentali in base al referente: nella prima, nella animal condition, si domandava al partecipante a quale animale tali metafore facevano riferimento; mentre nella seconda, nella social group condition, veniva posta la stessa domanda, ma in termini di categoria sociale quale referente. 

Esempio di paragrafo illustrato nello studio, con le metafore in italico (nello studio le metafore non vengono italicizzate): 

“They have invaded our house, coming in floods that we’ve been unable to stop. They’ll take over the whole thing if we don’t do something soon. Anything they come into contact with has been damaged. And now their many offspring are becoming another burden to deal with. We need to round them up and get rid of them.”

Risultati:

I risultati sembrano confermare l’ipotesi: i partecipanti avevano già una struttura mentale di conoscenza, dove queste metafore erano associate agli immigrati clandestini

Secondo studio

Il secondo studio vuole indagare se queste metafore aumentano la sensazione del disgusto, in particolare nei partecipanti con una forte identità americana. Secondo Hodson e Costello (2007), il disgusto è un driver del pregiudizio. Infatti, si basa sul nostro sistema emotivo di base che ci porta a distanziarci da questo stimolo dannoso. Tuttavia, Hodson e Costello hanno indagato gli effetti del disgusto soltanto a livello di differenze individuali. Quindi non si sa se una determinata categoria sociale potesse portare ad un aumento della sensazione di disgusto e, di conseguenza, a più alti livelli di pregiudizio.

Della questione si occupa, per l’appunto, questo studio. L’ipotesi è che i partecipanti che leggevano notizie contenti le vermin metaphors per descrivere gli immigrati avrebbero riportato una maggiore sensazione di disgusto, rispetto ai partecipanti che leggevano le stesse informazioni in assenza delle metafore. Questo fenomeno è mitigato da quanto fosse centrale per il partecipante “essere americano”.

Metodo

Vengono reclutati 51 studenti che si identificano come americani bianchi, nati negli Stati Uniti. 33 erano donne, 18 uomini con un’età media di 23.63 anni e con una deviazione standard pari a 8.39. 

Procedura, materiali e misure:

I partecipanti, nella prima condizione, dovevano leggere un articolo con le vermin metaphors simili a quelle dello studio precedente. Nella seconda, leggevano l’articolo in assenza di questi termini. I due articoli sono una versione modificata di un articolo originale reale, il quale conteneva già qualche vermin metaphors. In questo modo l’articolo era già presentato con un tono negativo e si poteva riscontrare l’effetto della metafora sulle informazioni dell’articolo. Le ricercatrici dicono ai partecipanti che lo studio vuole valutare la chiarezza con cui sono trasmesse le notizie in America. Questo per evitare una qualsiasi forma di influenza nei risultati dei partecipanti.

Variabili germi avversion, american identity e political ideology

La germin avversion, ossia la sensazione di disgusto, viene misurata tramite la scala di avversione ai germi della scala sulla percezione di vulnerabilità alle malattie di Duncan, Schaller, & Park (2009).

Mentre American identity viene misurata usando alcune domande che fanno riferimento su quanto sia importante per il partecipante essere americano (per esempio: “Being an American is an important reflection of who I am.”). L’ipotesi è che quanto più è importante essere americano per il sé, maggiore sarà il disgusto nel partecipante.

La political ideology, ossia l’ideologia politica, correla fortemente con gli atteggiamenti sull’immigrazione (Chandler & Tsai, 2001) e studi precedenti hanno dimostrato che i più conservativi hanno una maggiore sensibilità verso stimolo disgustosi (Inbar, Pizarro, & Bloom, 2009). Nello specifico, l’ideologia politica dei partecipanti viene giudicata tramite domande del tipo: “Indicate which of the following best describes your political views,” a cui si poteva rispondere assegnando un valore che andava da 1 (“very liberal”) a 7 (“very conservative”). La variabile introdotta come controllo, per dimostrare che l’effetto fosse dovuto solo dalla presenza della metafora.

Che cos’è una scala?

Queste variabili vengono misurate tramite delle “scale”, ossia una sorta di questionario. Per farvela semplice, il questionario è composta da affermazioni e/o domande riguardo a un’argomento specifico. A ciascuna di questo domande le persone devono affermare se sono d’accordo o meno. E quanto sono d’accordo o in disaccordo.

Risultati

Le variabili american identity e political ideology non vengono influenzate dalla presenza o meno delle metafore. Inoltre, nella condizione di assenza delle vermin metaphor, non c’è differenze tra identità americana e sensazione di disgusto.

Questo risultato si presenta anche nella low american ID, ossia quando l’essere americano non c’è centrale nella definizione del sé per il partecipante. Finalmente la differenza si presenta nell’interazione tra high American ID e metaphor condition, dovei risultati indicano che per i partecipanti nella metaphor condition, una forte identità americana predice un maggior senso di disgusto.

Questi risultati supportano ricerche precedenti riguardanti gli effetti psicologici della rilevanza delle metafore per il sé (Landau, Meier, & Keefer, 2010). Tutto ciò ha senso, in quanto la metafora dei parassiti che sommergono la propria casa (gli stati uniti) dovrebbe avere un effetto maggiore più una persona è coinvolta con quella casa (l’identità americana). A prescindere da come si pensa che la casa vada gestita (ideologia politica), (Shantal R. Marshall, & Janessa R. Shapiro, 2018). Tuttavia, rimane da chiarire se le vermin metaphor portino effettivamente ad uno slittamento verso politiche in accordo alla logica conclusione di una vermin metaphor: l’esclusione. 

Studio 3

 Le vermin metaphors provocano un aumento della sensazione di disgusto. Questo è quanto dimostrato fin qui. Ora, supportano anche politiche anti-immigrazione più stringenti? Nel terzo studio, le autrici Shantal R. Marshall e Janessa R. Shapiro trovano dei risultati che sembrano confermare questa ipotesi. C’è da aspettarselo, in quanto gli esseri umani si sono evoluti per evitare stimoli che provocano disgusto (Rozin, Haidt, & McCauley, 2000; Rozin & Fallon, 1987).

 Metodo:

Vengono reclutati 114 persone che si identificano come americani bianchi, nati negli stati uniti. 52 erano donne, 62 uomini con un’età media di 31.41 anni. 

Procedura, materiali e misure

Vengono utilizzate le stesse variabili utilizzate nello studio 2: american identity e political ideology. La stessa cover story e gli stessi due articoli. Le due stesse condizioni sperimentali con/senza le vermin metaphor. La variabile dipendente focale, Immigration policy, viene misurata attraverso una scala likert proposta da Archibold nel 2010. Con questa scala, i partecipanti dovevano esprimere il loro accordo/ disaccordo, su un continuum da 1 a 7, con delle politiche di immigrazione simili a stringenti misure adottate in alcuni degli stati americani. 

Un item esemplificativo della scala: Esempio: “le forze dell’ordine dovrebbero avere il diritto di controllare la cittadinanza nel caso in cui individuo sembri illegali”. 

Risultati:

Non è stato riscontrato alcun effetto significativo della metaphor condition e American identity sul supporto a politiche anti-immagrazione. L’effetto si riscontra nella interazione tra high American ID (tenuta sotto controllo della ideologia politica) e metaphor condition,. Qui i risultati sembrano dimostrare che una forte identità americana predice un alto supporto a politiche stringenti anti-immigrazione.

Questo risultato non si riscontra in assenza delle vermin metaphors. Le vermin metaphor possono produrre un aumento nel supporto delle politiche anti-immigrazione, ma questo effetto viene moderato dall’ american identity. La relazione tra questa e il supporto esisteva solo quando le metafore erano presenti.

Un risultato interessante si riscontra negli individui con una bassa identità americana, i quali supportano meno le politiche anti-immigrazione quando le metafore sono presenti (vedi figura 2). Sembrerebbe che questi individui, dove l’essere americano non è centrale per la definizione del sé, stiano reagendo contro queste metafore. 

I risultati portano le autrici Shantal R. Marshall e Janessa R. Shapiro ad ipotizzare, con una certa convinzione, che le persone non stanno reagendo alle informazioni sull’immigrazione, ma a come queste vengono presentate con l’uso delle metafore.

Conclusioni dell’articolo

Gli studi dimostrano che esistono delle associazioni tra metafore che attivano pensieri dei parassiti e gli immigrati clandestini nelle menti di molti americani. Inoltre, quanto più una persona si identifica come americana, maggiore sarà il senso di disgusto che prova di fronte a queste metafore. Tali metafore implicite, quindi, non sono solo un modo per comprendere cognitivamente meglio il concetto di “immigranti”. Queste causano una percezione reale di disgusto e vulnerabilità alle malattie. 

La ricerca dimostra che la presenza delle vermin metaphors fa in modo che coloro con un’elevata identità americana aderiscano maggiormente a stringenti politiche anti-immigrazione. Non è l’identità americana a causare questi risultati, perché nella condizione di controllo non ci sono queste differenze; sembrerebbe che a causare queste differenze significative sia la presenza delle metafore, dato che anche l’ideologia politica viene tenuta sotto controllo. Non è, quindi, neanche una questione di orientamento politico. 

Perché il web facilita questi fenomeni

Ancora una volta, l’obiettivo di questo blog sta nel consapevolizzare sull’importanza del linguaggio. Questo sempre, anche nella vita reale. Ma nella rete risulta ancora più essenziale presentare un’informazione corretta, senza deformazioni o insinuazioni che tralasciano informazioni implicite. Se le comunicazioni in rete si presentano circondate da un frame metaforico, se esso si diffonde, diventeranno delle strutture di conoscenze non solo del singolo.

E’ dimostrato che le nostre opinioni dirigono la ricerca di nuove informazioni verso quelle congruenti con le nostre credenze. Dunque, le metafore sono in grado nel plasmare idee e credenze comuni nell’ambito della rappresentazione sociale. Di conseguenza, questa struttura di conoscenza influenza anche la ricerca e l’assimilazione di ulteriori informazioni, prediligendo quelle che più si adattano alla cornice metaforica.

A volte, stare dietro a un computer ci fa dimenticare il web è fatto di persone, e non soltanto etintà virtuali dotate di nickname. Questo porta a una forma di disimpegno morale, data la lontananza dell’altro. All’estremo, si tratterebbe di una forma di deumanizzazione, ossia una strategia di delegittimazione che esclude individui o gruppi dall’umanità (Volpato, 2011, 2012). In questo caso non lo facciamo intenzionalmente, ma è un meccanismo insito al funzionamento di internet. Internet, infatti, da l’impressione di essere un mondo a parte, completamente separato dal mondo reale. E’ vero che si tratta di una nuvola che ci permette di stare perennemente in connessione tra di noi, ma le conseguenze dei suoi lati oscuri sono reali. 

Conseguenze reali di un mondo virtuale

I media sono una potente arma nel plasmare l’idea comune di specifiche categorie sociali e da sempre, nel corso della storia, hanno accompagnato razzismo, marginalizzazione di intere categorie sociali fino ad arrivare ad accompagnare stermini e genocidi. Si pensi al banale esempio dell’epoca nazista, dove Adolf Hitler nella sua propaganda anti-ebrei definiva quest’ultimi ratti, parassiti, al pari di animali infestanti che infestano la razza ariana. Oppure, per citare un esempio più attuale, il discorso dell’ex presidente della Florida Jeb Bus, il quale utilizza la parola “fertile” per descrivere una donna immigrata. Questo termine che ha connotazioni animalistiche. Oppure l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump il quale, al riferirsi agli immigranti messicani, afferma: “queste non sono persone, queste sono animali”. 

Gli esempi appena citati sono solo alcune della serie impressionante di metafore deumanizzanti utilizzate nel discorso politico attuale e del passato. Risulta evidente come queste strutturino il nostro sistema mentale di conoscenza. Basti pensare al secondo studio dell’articolo, nel quale si dimostra come nella mente delle persone l’associazione tra queste metafore e la categoria sociale degli immigranti erano già presenti. Inoltre, l’animalizzazione suscita in chi la subisce sentimenti di degradazione e umiliazione, mentre chi la mette in atto prova invece disgusto e disprezzo (Volpato 2013). L’articolo difatti dimostra un aumento nella sensazione di disgusto tra i partecipanti, ma non se le vermin metaphor ne causano di più rispetto a una metafora animalizzante normale. Sarebbe interessante misurare qualitativamente e quantitativamente lo stato psicologico dei destinatari, vale a dire gli immigrati, quando questi realizzano di essere bersaglio di tale rappresentazione metaforica. 

Hate speech e cyberbullismo

Riallacciandoci al discorso sulla libertà di espressione sul web e sul linguaggio, vediamo ora i casi di hate speech e cyberbullismo. (clicca qui per leggere cyberbullismo e qui per hate speech). 

L’hate speech è un caso estremo dell’esempio che vi ho fatto prima. Prima si trattava di parole che potrebbero comportare un atteggiamento più negativo rispetto ad altre, nonostante si riferiscano allo stesso oggetto / evento. In questo caso, si tratta di una manifesta espressione di odio tramite discorsi, slogan e insulti violenti rivolti contro individui o intere fasce di popolazione. E’ chiaro che la libertà di espressione non tutela questo tipi di discorsi, in quanto vanno ad intaccare la dignità delle persone.

Parlando di cyberbullismo, vale lo stesso discorso. Ci tenevo a raccontarvi la storia di Carolina, una giovane ragazza di quattordici anni di Novara. Carolina stava male durante una festa e si reca in bagno seguita da un gruppo di coetanei che decidono di molestarla e di filmare la scena. E infine, di pubblicare il video e diffonderlo su Facebook. Tutto questo contribuì ad umiliare la giovane ragazza che non riuscì più a sopportare di vedersi in quel filmato condiviso così tante volte sul web dai suoi coetanei. Fu così che la giovane ragazza si tolse la vita, gettandosi dal balcone della sua stanza. Carolina morì la notte del 4 gennaio 2013 e ad ucciderla fu il cyberbullismo.

Una storia triste

Questa storia è triste e forse un po’ troppo drammatica per i fini di questo blog. Nonostante ciò, serve a farci capire che le conseguenze di un cattivo utilizzo del web sono disastrose.

Concludiamo questo argomento con alcuni consigli pratici per resistere a quelle influenze automatiche delle informazioni distorte. E’ vero che molte volte siamo pigri. Che molte volte non abbiamo il tempo materiale per fermarci a riflettere su quanto ci accade. Non è colpa nostra, viviamo in una società frammentata e frenetica.

Però siamo esseri razionali, dotati di intelligenza. Sono sicura che non farete fatica a seguire questi consigli:

  1. contro-argomentazione: quando avete la possibilità di rispondere, mettete in atto ragionamenti più razionali. 
  2. Sostegno dell’atteggiamento: per una volta mettete in discussione le vostre opinioni. Molte volte, ricredersi su un argomento è un segnale di intelligenza!
  3. ricerca attiva al di fuori del contesto: cercate di informarvi in più contesti, non soltanto dai soliti media, esperti, ecc.. In questo modo avrete anche informazioni contrarie alle vostre opinioni. Informazioni che potrebbero essere altrettanto valide.
  4. Validazione sociale: per validazione sociale si intende quel concetto secondo il quale “quello che fanno gli altri è giusto”. Senza entrare in tecnicismi, vi faccio un esempio: un vostro amico è no novax. Avete provato in tutti i modi a convincerlo che il vaccino è efficace nella lotta contro il corona virus. Avete presentato argomentazioni razionali e scientifici, di esperti e medici da lui non conosciuti. Nulla, non vuole cambiare idea. Allora provate a fare appello a quello che fanno gli altri, al suo gruppo sociale che stima e rispetta. Magari ditegli: “Tutti i tuoi amici si sono vaccinati. Per proteggere se stessi e gli altri”.
  5. Svalutazione della fonte: ossia, negare caratteristiche positive della fonte. Provate a chiedervi se un messaggio trasmesso da una persona non attraente avrebbe lo stesso effetto su di voi.
  6. Emozioni negative: tornando all’esempio dei no vax. Se neanche l’appello al gruppo di amici funziona, provate a suscitare nel vostro amico emozioni negative. Magari dicendoli che un vostro amico è finito in ospedale perché infetto da coronavirus e non vaccinato. Mentre un altro, vaccinato, ha avuto solo qualche lieve sintomo. Questo perché, quando proviamo emozioni negative, vogliamo cambiare il nostro stato.

Photo by Sergey Zolkin on Unsplash

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